"Ma sei Saro..."

di Alessandro Borgogno

"Una notte di Giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario, in una campagna di olivi saraceni affacciati agli orli d'un altipiano d'argille azzurre sul mare africano."
Luigi Pirandello

La casa natale di Pirandello si trova fra Agrigento e Porto Empedocle, in una zona ormai abbondantemente devastata da abusi edilizi e sradicamenti di paesaggio. Però, unita alle parole dello scrittore, mantiene ancora un residuo concreto di quella che doveva essere la sua atmosfera ai tempi in cui il giovane Luigi vi nasceva e vi cresceva. Ora c’è un museo dedicato a lui, e un caffé letterario nel parcheggio, ma guardando oltre il casolare a due piani si capiscono ancora le sue parole: quello laggiù è davvero un mare africano, e l’Africa è vicinissima.
Per ricordare la grandezza di Pirandello, inscindibile dalla poesia e dalla durezza di quei luoghi, a me viene da raccontarvi la scena di un film. Scena fatta di poche parole e di molta immagine, e perciò difficile da raccontare.
Il film è Kàos, dei fratelli Taviani. Un gran film.
E’ appunto dedicato allo scrittore e drammaturgo siciliano, e raccoglie cinque delle sue novelle più belle e più drammatiche, dilatandole nello spazio e dipingendone le forme sullo sfondo dei più bei paesaggi dell’isola. E’ un film non perfetto, ma pieno di momenti intensi e duri, commoventi ed esaltanti, interpretazioni profonde e sentite. Non voglio parlare del film, ma per l’appunto di una sola scena.
Ancora due premesse.
La prima è che il film si chiama Kàos proprio in onore del luogo natale dello scrittore, che ci ha lasciato in eredità esattamente queste parole: "[...] Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Xàos."
La seconda è che quando arriva la scena in questione, nell’ultimo episodio del film, noi abbiamo già conosciuto uno dei personaggi che la animano, per la precisione nel racconto “Mal di Luna”. Si tratta di Saro (un bravissimo Massimo Bonetti), che ora ritroviamo conducente di una carrozza che si offre di riportare a casa proprio lui, Luigi Pirandello. Perché l’episodio in questione mette in scena in primo piano l’autore, ispirandosi al suo “colloquio con la madre”, in una delle occasioni in cui, ormai famoso e residente a Roma, tornava in visita alla sua casa natale, a Càvusu. E la presenza di un personaggio che prima abbiamo conosciuto in un racconto di fantasia vuole suggerirci quanto in questi racconti ci sia di vero, di ricordi e di memorie personali della Sicilia filtrate dal genio dell’autore, e quanto sia indissolubile il legame fra la sua arte e la sua terra.
Il vetturino infatti mostra di conoscerlo, e lo chiama per nome: “Vieni Luigi, ti porto io”.
E lo conduce, trainato dai cavalli, attraverso una carrellata che ripercorre i luoghi che abbiamo già visto nei racconti precedenti. Porta lui e noi con lui. Scorrono così, fotografati magistralmente, alcuni degli scenari siculi più belli: Ragusa Ibla, le distese di olivi, la masseria di Don Lollò (dall'episodio "La giara", in cui si può ammirare un’ineguagliata prova e dimostrazione di bravura da parte di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, mai più utilizzati così bene), e il teatro greco di Siracusa.
Proprio davanti al teatro greco Saro si ferma, per dare altri indizi ad un Pirandello (Omero Antonutti, come sempre grandissimo) un po' spaesato e un po’ scocciato.
“Lo vedi che lo so che lavoro fai, Luigi?” gli dice. E poi: “Ma quante ballerine ti sei fatto a Roma eh Luigi?”.
Luigi è in imbarazzo, ma non per ciò che dice Saro, ma perché non lo riconosce, tanto che il vetturino ad un certo punto se ne accorge e glielo chiede: “Ma tu mi hai riconosciuto?”
Luigi risponde mentendo: “Ma certo….”. Saro non è convinto ma non osa dargli del bugiardo.
Arrivano alla casa, che i Taviani hanno scelto scenograficamente non da quella originale ma fra le mille meravigliose ville patronali sicule, belle ma endemicamente in decadenza. Scendono dalla carrozza. Pirandello allora fa il gesto di pagare il vetturino allungandogli delle banconote.
Di fronte al gesto del ricco e famoso cittadino che paga il vetturino di campagna, Saro non ha più dubbi, e rifiutando i soldi senza guardarli gli dice: “… allora non mi hai riconosciuto…”.
Si allontana lentamente con la carrozza, lasciando Luigi solo nel cortile. Solo e dispiaciuto di ciò che accaduto. E noi dispiaciuti con lui. Fa qualche passo ma si ferma. In quel momento nel suo sguardo c’è la riscoperta di un luogo della memoria che era nascosto ma non poteva essere scomparso. Quasi rassegnato ma sollevato dalla scoperta alza gli occhi e mormora fra sé:
“Ma sei Saro…”
Lo stacco repentino che segue è quello che dà i brividi.
Si sente Pirandello che da lontano urla: “Saro!”
E noi siamo sulla carrozza con Saro, inquadrato di spalle, in primissimo piano. La carrozza è lanciata, gli zoccoli dei cavalli schioccano sonori sul selciato, la musica di Piovani apre la sua quinta con archi e fiati, e Saro si volta ridendo. Ha sentito, ha capito, è soddisfatto, va bene così, continua a correre via ma ride. E’ un riso ghignante, un’espressione di soddisfazione, gioia e rabbia repressa messe tutte insieme in un istante. Una smorfia magistrale che ci inchioda ai nostri brividi e non ci lascerà più fino ai titoli di coda, un ghigno perfetto che sintetizza in un breve attimo e in una sola faccia invecchiata dal sole gli olivi saraceni, le argille azzurre, e il mare africano.
Casa natale di Luigi Pirandello
Agrigento. Contrada Caos, SS 115
L. Pirandello, Novelle per un anno, Newton & Compton
Kàos, di P e V. Taviani
con O. Antonutti, M. Lozano, M. Bonetti, C. Bigagli, C. Ingrassia, F. Franchi, R. Bianchi
Italia 1984

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